Un Giorno Qualunque

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Ti chiudi la porta alle spalle assieme ad una giornata decisamente no, trascorsa stando chiuso nel tuo ufficio, e la prima cosa che fai, appena messo il piede in casa, è sbuffare all'aria, quasi avessi la speranza che qualcuno potesse raccogliere il tuo stato d'animo.
Cerchi di appendere il cappotto ma fai fatica a trovare un gancio libero, visto che altre giacche e giubbini, tuoi e suoi, occupano praticamente tutto l'appendi abiti.
Appeso alla meno peggio, decidi di fare una puntata sul divano, prima di entrare in cucina e cercare di inventare qualcosa che assomigli ad una cena. Ti lasci cadere come un sacco della posta rimanendo con le braccia alte dietro la testa e le gambe distese a fissare il soffitto.
Giri la testa e lo sguardo ti cade sul pianoforte, posizionato nell'angolo più luminoso del salone così come piace a lei.

- " Non ha mai voluto spostarlo da li!... maniaca dell'arredamento... 'Ogni cosa ha il suo posto', non so quante volte l'avrà ripetuto... ",

pensi, mentre una smorfia di disapprovazione compare in viso.
E' il momento della cena; abbandoni a malincuore il tuo ozio e vai in cucina con passo stanco.
Con enorme coraggio, apri il frigo e ti lanci alla ricerca di qualcosa di commestibile che non sia una delle solite cose precotte o monodose che tanto ti ricordano i cibi per cani.
Conclusa la tua missione di recupero, chiudi la porta del frigo e ti blocchi, rimanendo immobile con la presa sulla maniglia, quando il tuo sguardo finisce su uno dei tanti magneti attaccati.
Un gatto verde che sorride come quello di Alice nel paese delle meraviglie, accovacciato, con una testa decisamente sproporzionata; ricordi bene quando gilelo desti qualche tempo prima e che la sua reazione non fu per nulla quella che ti saresti aspettato.
Appena lo vide scoppiò a ridere dicendo che era la cosa più orribile che le avessi mai portato e che invece di buttarla via sarebbe dovuta rimanere attaccata al frigo come testimonianza del tuo cattivo gusto. Il ricordo di quella risata, ormai indelebile nella tua mente, ti fa ridere così di gusto da farti stupire.

La fame ti passa e decidi di andare a fare una doccia. Passando dal salone dai un'altra occhiata al piano che è ancora illuminato dagli ultimi momenti di luce di un altro giorno che sta per finire e di colpo ti viene voglia di suonarlo.
Era un po' che non lo facevi e per giorni hai cercato di cacciar via quel desiderio, quasi non volessi far uscire dalla tua testa il frastuono che ti accompagna come fosse una cane fedele.
Ti siedi e fissi la sua superficie nera e lucida che, come in tante altre occasioni, illuminato a quel modo lo si può usare a modo di specchio, in cui poter scorgere le sagome di chi gli sta di fronte.
Lentamente, riprendi confidenza con lo strumento, strimpellando qualche motivetto che ti è capitato di ascoltare alla radio; familiarizzi sempre di più con la tastiera finchè non suoni con la disinvoltura di sempre, stando bene attento a non lasciarti andare a quelle melodie che sai essere pericolose.
Ma se sai come evitare un certo tipo di musica lo stesso non vale per i ricordi, che cominciano ad affiorare con quel tumulto ed impeto di sempre.
Senti le note sempre più intense e coinvolgenti; più suoni e più hai voglia di esibirti in quel repertorio che tanto ti ha emozionato, tanto da arrivare a trovare una giustificazione a ciò che stai per fare; pensi

- " La musica non ha mai ucciso nessuno "

é vero, però può ferire e far male come un pugno in faccia.
Nella moltitudine dei pensieri cerchi di ricordare quante volte hai suonato per lei; ti piaceva esibirti, come fossi in un concerto, dove il tuo unico spettatore spesso interrompeva le sue faccende per mettersi comoda sul divano ad ascoltarti, con aria che a te sembrava sognante, regalandoti i suoi sorrisi ad ogni conclusione.
E che dire di quando il tuo pubblico si alzava e veniva ad abbracciarti da dietro, mentre ancora suonavi, bloccandoti le mani? Puntualmente ti lamentavi che così non potessi continuare; e quando...

***

Preso dai ricordi decidi di terminare il tuo medley improvvisato per suonare una canzone che conosci così bene da poterla eseguire dando addirittura le spalle al piano.


- " Che fa, tanto è solo una canzone... ".

Dici? E' davvero solo una canzone? O è la canzone? Quella che adorava sentire anche mille volte al giorno senza mai stancarsi.
Puntualmente la cantava a squarciagola, per tutta casa, come una matta da legare e, come in un copione scritto e consumato, prima che la canzone terminasse finiva sempre abbracciata a te, mentre te la continuava a strillare, con tutto il fiato possibile, nel tuo povero orecchio, martoriato dalla sua voce un po' stridula.

***

Ti accorgi che il respiro si fa sempre più affannoso e il sorriso comincia a spegnersi, finché, con la testa china, non senti una lacrima schiantarsi sulla tastiera.

Fermi di colpo le mani dando una spinta secca sui tasti, che fino a poco prima osavi solo sfiorare, facendone uscire un suono sgraziato. Guardi ancora il riflesso sulla superficie del piano, ma ti appare più vuoto e buio di un tempo.
Di impulso ti alzi, vai alla finestra e guardi fuori; appoggiandoti con le mani ai lati del davanzale, come se un peso invisibile ti poggiasse sulle spalle, fissi il nulla sopra l'interminabile fila di palazzi che ormai coprono il sole al tramonto

- " Lei non c'è... ".

Si, ormai lei non c'è. Da tanto.
Lei, che è stata la nota più bella che il tuo cuore abbia mai sentito vibrare, è svanita; lei, che è sempre riuscita a portar via i tuoi pensieri peggiori con un sorriso, ha lasciato un'impronta invisibile in quell'immagine che una volta era riflessa sul piano; lei, che hai sempre chiamato angelo, adesso un angelo lo è diventato.

3 commenti:

Giovanni Stoto ha detto...

leggo nelle etichette "racconti" e mi piace immaginare sia proprio tale: un racconto...

Anonimo ha detto...

Sei impressionante, è stupendo...ma un giorno scriverai mai qualcosa di allegro??? ;-)

Anonimo ha detto...

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