Una Giornata Tipo

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Anche se il gesto ti è ormai familiare, a prima mattina cercare di aprire la porta non ti riesce al primo tentativo.
Scendi in strada e la prima cosa che ti investe, se non sono automobilisti, è il vento freddo e umido che in un attimo ti fa abbandonare anche l'ultima speranza di poter tornare a crogiolarsi al caldo del proprio letto.

Ormai è tutto come sempre: attraversi, fai attenzione al suono delle auto che sopraggiungono, ricordi di alzare un pò di più il piede per salire su quel marciapiede dal ciglio un pò disconnesso... e, finalmente, arrivi alla stazione dell'autobus.
A quell'ora del mattino trovare qualcuno a cui chiedere quale sia il mezzo giusto per te è quasi impossibile; preghi sempre di non ritrovarti all'altro capo della città che, come già accaduto, ti farebbe arrivare oltremodo tardi a lavoro.

Comincia la giostra; vieni sballottata come una pallina in un flipper, facendo sponda con gli altri avventori del mezzo, mentre il campanello della fermata ti fà da audio in questo gioco anni ‘80.
A fine partita, scendi da quella porta che sbuffa , aprendosi, allo stesso modo di come farebbe anche la biglia quando finisce giu nel buco perchè non hai saputo colpirla in tempo.
Ti accorgi di essere in ritardo di almeno cinque minuti visto che il tuo brano preferito, che stavi ascoltando in cuffia, è finito da almeno una canzone e mezzo.
Con coraggio, acceleri il passo verso la metro cercando di non distrarti e ricordandoti il percorso più rapido per arrivare al binario...
"E' fatta, anche questa è andata" pensi soddisfatta; e adesso comincia la parte più interessante.

Compressa come sempre nei vagoni del treno, tra la folla, cominciano ad arrivare al tuo naso tutti gli odori di quel pezzo di vita; si, perché per te non sono persone ma un "morso" di quella esistenza che ogni giorno ti circonda e di cui cerchi di assaporare quanto più puoi.
Ti diverte cercare di indovinare quale profumo hanno messo anche se a volte si mescola al profumo della carta stampata o, ahi te, di quello meno piacevole di chi ha l'igiene personale come optional.
Ma non ti basta; come un minatore cerchi e cominci a sentire le emozioni più svariate: c'è chi ancora sonnecchia, chi ride e scherza, chi si lamenta, chi rimane in silenzio nel suo guscio e di cui senti solo il respiro, chi ha la musica in cuffia a livello "spacca-orecchie"... "Incredibile cosa si incontra!", te lo ripeti senza mai finirti di stupire.
Però adesso basta, è ora di scendere e pensare alla strada da fare per arrivare in ufficio.

Fortunatamente, non devi più attraversare così prosegui spedita fino al portone dell'edificio dove il custode, accompagnato dall'eco dei suoi passi, si precipita per aprirti la porta a vetri che tintinna come due calici in un brindisi.
Il tuo è un sorriso di circostanza e ti sforzi di salutarlo normalmente; in realtà vorresti urlargli in faccia "Mica sono nata senza mani?", magari dandogli anche una sonora bastonata.
Quando la rabbia ti è passata e hai "rimesso a cuccia" il tuo orgoglio convincendoti che in fondo voleva solo essere gentile, prendi l'ascensore; mentre sali ti sistemi vestito e capelli. Vorresti sapere come stai vestita così, se sei carina o inguardabile, se sembri elegante o casual, se quella acconciatura, che tiene raccolti i tuoi capelli lunghi, ti dona o meno... ma soprattutto sapere se il tuo parrucchiere è bravo quanto dice.

Finalmente alla meta. Ti si scioglie la tensione che ogni mattina ti accompagna e cominci a rilassarti, come quando stai per entrare a casa tua.
Ormai sono quasi 2 anni che lavori lì ma nonostante ciò entri ancora un pò tentennante, per paura di urtare qualcosa che il giorno prima non c'era.
Arrivi alla tua scrivania e, manovrando in modo un pò impacciato, ti siedi sistemandoti le cuffie sulla testa, pronta a cominciare, di lì a poco, a raccogliere le telefonate che stanno per inondarti come l'immensa folla che hai dovuto attraversare per arrivare fin qui. Però è solo lavoro e, di quelli che chiamano, non ti interessa sapere nulla di quanto hai potuto sentire venendo.

Intanto, come da quasi 2 anni a questa parte, molti degli impiegati non possono fare a meno di guardare una bella donna bruna, sui 30, con lunghi capelli neri raccolti sulla testa e una meravigliosa ciocca scappata dal resto dell'acconciatura, che cade morbida sul volto.
La vedono avanzare con passo incerto e lo sguardo fisso in avanti che non fa sconti a nessuna in fatto di bellezza; nonostante i suoi occhi neri siano alquanto inespressivi, non possono ignorare il loro colore scuro e profondo come la notte.
Che favola! Tutti catturati dal suo incedere, a metà tra l'elegante e l'insicuro, e dalle sue gambe "da modella", come dicono in ufficio.
La seguono fino alla sua scrivania, osservando gli stessi gesti che ormai ripete da mesi.
Ma l'incanto di colpo svanisce e la favola dalle belle gambe torna ad essere ‘una di quelli sfortunati’, mentre, tra gli sguardi pietosi dei colleghi, con grazia ripone il suo bastone per cechi accanto alla scrivania.

“Si comincia.”; ti esce dalle labbra come lo sparo al via in una gara di atletica, affrontando una nuova e normale giornata di lavoro.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

è molto bella anche se, alla fine, proprio come gli ultimi sguardi pietosi dei colleghi che la guardano, lascia un sorriso leggermente amaro. sorriso perchè nonostante tutto lei va avanti, amaro perchè non deve essere facile andarci.
bravo ;-)

Anonimo ha detto...

Ammostr.

Anonimo ha detto...

geniale.
un altro racconto così e mi ti trombo... :D